Tra leggenda e storia

     Il Casale

        Il 15 settembre 1241 segna la prima data documentabile della storia della città. Quel giorno, infatti, in quel di Cremona, l'Imperatore Federico II, in ricompensa dei servizi feudali ricevuti, concede al 'miles' Roberto di Palermo il Casale di Capaci con i marchesati di Racalzarcati e monte Colombrina in territorio di Carini.

       Avvenne così il passaggio dal Feudo al Casale e, cioè, il cambiamento da terra disabitata e continuamente soggetta ad incursioni e saccheggi a piccola borgata campestre che nella desolata situazione politica di allora venne ad inserirsi come una nuova realtà socio-economica aperta ad incoraggianti prospettive di sviluppo. Per la prima volta, infatti, il territorio conobbe una vera guida istituzionale che in maniera piuttosto autonoma si assunse l'onere della sua riorganizzazione e gestione ponendo così fine all'immobilismo che da tempo immemore opprimeva l'intera area. Ma ebbe pure inizio un lungo periodo di contese per l'accaparramento di concessioni o di nuovi privilegi da parte di nobili casati che, per oltre un secolo, attesero al suo possesso od allo sfruttamento delle sue risorse più che a curarsi del suo consolidamento urbano e rurale.

       Giova ricordare, però, che la prima testimonianza di cui si ha notizia certa circa l'esistenza quanto meno di un piccolo centro organizzato attorno ad una tonnara (quella di Punta Parato di 'Insula Fimi') risale ad oltre mezzo secolo prima e, cioè, all'anno 1176 e si riferisce alla già ricordata controversia giuridica sulla interpretazione estensiva dei confini di pesca territoriali pretesa dalla Curia arcivescovile di Monreale a danno del feudo di Capaci. (Vedi capitolo precedente: Il Feudo).

       Il panorama socio-politico di quel tempo non offrì certo possibilità di aperture o intese per la soluzione dei drammatici problemi istituzionali. Ovunque tra il baronaggio e la città si aprirono aspri ma sterili confronti mentre il perdurare dello stato di incertezza e la mancata adozione di idonei strumenti di riforma alimentarono tensioni e malumori. Nell'anarchia generale in cui precipitò l'Italia dopo il crollo dell'impero germanico, alla morte dell'imperatore Federico II (12 dicembre 1250), la Sicilia divenne terra di conquista da parte degli angioini, prima, e degli aragonesi, poi. I francesi con la loro politica vessatoria e la prepotenza dei loro soldati finirono con il provocare l'insurrezione dei Vespri Siciliani (1282) dando agli spagnoli il pretesto di intervenire per vincoli di parentela a fianco della vecchia dinastia d'Aragona da sempre in lotta con la Casa d'Angiò. Alla cacciata degli angioini ascese al potere la nuova dinastia degli aragonesi alla quale ben presto la Sicilia, rinunciando al proprio orgoglio, legò la sua lunga e mortificante sudditanza divenendone Viceregno.

       In questa drammatica situazione i privilegi ed i sorprusi continueranno a mortificare qualsiasi aspirazione locale e, almeno sino alla metà del XV secolo, Capaci continuerà ad essere menzionata come feudo. Erano molto lontani (oltre tre secoli ancora) i tempi in cui doveva cominciare a prendere forma il progetto di sviluppo urbanistico e del popolamento del territorio avviato con l'istituzione del Casale.

      Parimenti i conflitti interni alla classe nobiliare per l'acquisizione di nuovi beni o la preservazione di quelli posseduti assunsero toni così esasperati da rendere vano qualsiasi tentativo di stabilità sociale e politica e da coinvolgere, nel corso di pochi decenni, il prestigio e gli interessi più o meno speculativi di diversi casati.

      Occorre tenere presente, infatti, che in quel tempo il bosco costituiva il cespite principale capace di garantire una ragguardevole rendita derivante dalla fornitura di legname richiesto da Palermo in modo sempre più crescente per la costruzione di palazzi e di imbarcazioni e soprattutto per la cottura dello zucchero nei numerosi trappeti siti nella zona (ben tre nella sola Carini ed uno di grosse dimensioni anche a Palermo, Fuori Porta Carini).

       Da qui il passo verso lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali del territorio fu abbastanza breve. A partire dal primo decennio del XIV secolo, infatti, le famiglie aristocratiche che si susseguirono nella gestione del feudo, per assicurare maggior lustro al proprio casato od accrescerne il prestigio economico e sociale, non esitarono ad abbattere indiscriminatamente i secolari alberi da legna che lungo tutta la fascia costiera si estendevano folti e rigogliosi fino alla Selva di Partinico.

       Nel 1308 fu la volta dei Fior de Chissari ed un secolo dopo, nel 1408, dei Crispo, seguiti, nel 1453, dai Ventimiglia e circa cinque anni dopo, nel 1458, dagli Omodei.

       A quest'ultimo casato si devono alcuni incerti tentativi di trasformazione e colonizzazione del territorio attraverso la transizione dal sistema forestale ad una agricoltura intensiva specializzata. Sotto la sua giurisdizione, infatti, sorsero i primi impianti di giardini, oliveti e vigneti che vennero protetti dagli ovini e dai bovini in libero pascolo con muri di pietrame a secco (chiuse) e che funzionarono da incentivi per la realizzazione di dimore stabili. Fu così che i suoi abitanti da boscaioli divennero contadini.

       Le nuove colture agricole ebbero un notevole incremento verso la fine dello stesso secolo quando l'ultima erede degli Omodei, Virginia, sposò un discendente della nobile famiglia Beccadelli di Bologna: don Giliberto Bologna. (Inizialmente, Bologna era l'appellativo toponimico che, in uso comune, accompagnava il cognome originario con il quale i Beccadelli, dopo il loro trasferimento a Palermo, furono meglio conosciuti e che i loro discendenti, già a partire dal 1303, avevano finito con l'adottare definitivamente).

       Il 29 luglio 1506 il loro figlio Francesco ottenne l’investitura del feudo di Falconeri per donazione materna mentre il 9 gennaio 1517 ricevette, “maritali nomine”, quella del feudo di Monterosso e di altre terre, in conseguenza del matrimonio contratto con una Antonella, di cui si ignora  il casato. Ma è il 18 marzo 1517 la data che segna in maniera irreversibile l’avvio di quel processo di sviluppo che porterà alla fondazione della città; quando, cioé, dal viceré Ugo di Moncada gli viene concesso di poter riunire in unica baronia, con unica giurisdizione, i feudi di Falconeri, Capaci, e Monterosso, le saline di Boranza e Cantarella e la tonnara di Trapani, chiamata “lu Palazzu”.

       Il momento era particolarmente critico per la vita socio-economica dell’isola poiché, nonostante la linea politica di distensione perseguita dalla corona, in quello scorcio di secolo le voci di rivolte baronali e la minaccia di sollevamenti popolari si facevano sempre più pressanti.