Tra Leggenda e Storia

 Le Tre Torri

     Prologo

      

       Fin dai tempi storici il bacino del Mediterraneo è stato sottoposto a frequenti aggressioni e scorrerie, spesso feroci, da parte delle temibili marinerie etrusche, greche, fenicie ed illiriche, costringendo le popolazioni rivierasche dell'Egeo e dell'Adriatico, (abruzzesi, pugliesi, calabresi, campane, laziali, sarde e siciliane), a vivere costantemente nel terrore ed assistere impotenti alla stagnazione dei loro traffici marittimi. La pirateria, i cui centri erano dislocati tra le centinaia di isole comprese tra la costa slava e quella albanese, in un pericoloso labirinto di basi inaccessibili, fu combattuta quasi ininterrottamente per diversi secoli con risvolti spesso drammatici.

       Spinti da feroce ingordigia, i pirati rubavano tutto quello che poteva avere un minimo di valore: navigli commerciali, piccole imbarcazioni da trasporto, nei villaggi di pescatori, nei bagli agricoli, nelle piccole attività artigianali, nelle chiese e nei monasteri dei paesi dell'entroterra, arrivando persino ad attaccare città fortificate. Il bottino più allettante e redditizio era comunque costituito da uomini, donne e bambini strappati senza pietà alle proprie famiglie e venduti come schiavi nei mercati che prosperavano lungo le coste africane in città come Algeri, Tunisi, Tripoli.     

       Tra le pur scarne notizie di scorribande corsare citiamo quella che nel 1356 vide coinvolte le nobildonne Lidia Moncada ed Eufemia Ventimiglia, assalite e spogliate di tutto ciò che possedevano mentre navigavano da Trapani verso Palermo, all'altezza di "isola di Phimo". La stessa cittadina, Il 26 maggio 1596, è stata sottoposta ad un massiccio attacco da parte di una ciurma di "mori e cristiani rinnegati travestiti". Durante l'incursione veniva preso in ostaggio il tonnaroto Vincenzo Pisano per la cui liberazione non si conosce l'entità del riscatto pagato. Le cronache del tempo riferiscono anche di una incursione pirata avvenuta nel villaggio dei pescatori di Sferracavallo qualche giorno dopo. Particolarmente aberrante è risultata, però, l'ultima aggressione in forze, di cui si ha notizia, condotta da due navigli corsari contro il borgo di Isola nel 1602. Essa, infatti, si distinse dalle precedenti per le futili ruberie e gli eccessi degli atti di vandalismo perpetrati in dispregio del magro bottino racimolato.

       Nè solo gli inermi contadini o gli indifesi pescatori delle località costiere furono sempre più frequentemente fatti oggetto di improvvise scorrerie ma anche personalità cospicue per censo, cariche o qualità personali, come il poeta Antonio Veneziano, il vescovo di Catania, Nicolò Caracciolo, il principe Giovan Luigi Moncada di Paternò.

       Contro il dilagare del fenomeno si oppose l'unica difesa allora possibile: l'istituzione di postazioni militari che, collocate nei punti strategici più elevati a vigilare i tratti marini, funzionarono da valide vedette in grado di comunicare in tempo utile la presenza di navigli ostili. L'avvistamento di solito veniva segnalato con lunghi e lugubri squilli di corno, sventolio di drappi colorati o accensione di fuochi (fani); quest'ultimo si è rivelato il metodo più efficiente tra quelli più in uso nel corso dei secoli per la sua efficace funzionalità anche a notevole distanza sia di giorno (fumo) che di notte (fiamme). La popolazione, così allertata, abbandonava il proprio lavoro per rifugiarsi nelle grotte delle colline o all'interno di torri dalle spesse mura.

       Non sempre, tuttavia, tali strategie difensive risultarono efficaci contro le improvvise incursioni dei pirati musulmani. A volte, anche se dalla torre veniva lanciato con un buon anticipo l’allarme di pericolo, di fronte all’audacia ed alla rapidità d’iniziativa dell’avversario, veniva meno il coraggio di affrontarlo da parte di chi era preposto alla difesa, sia per carenza di organizzazione che per difetto di uomini e di armi. Temerarietà e ostentazione di sicurezza che almeno in un caso, avvenuto ai suoi tempi, racconta il Villabianca, ai corsari di due agili vascelli valse un cospicuo numero di schiavi mentre le due galere di vigilanza di stanza al porto di Palermo, pur tempestivamente avvertite dai fuochi della torre di Monte Pellegrino, salparano con ritardo ad intercettarli per viltà dei loro comandanti.

       Per far fronte al pericolo delle scorrerie, verso la fine del XV secolo, il sistema di difesa delle coste meridionali si indirizzò definitivamente alle "torri di avvistamento" che, sempre più fortificate e protette da guarnigioni di soldati più numerosi e meglio armati, furono capaci di tenere lontano il nemico e, spesso, di farlo desistere dall'impresa.

       L'incarico di elaborare le linee di difesa e di costruire tali fortezze venne affidato a valenti architetti militari tra i quali spicca la figura del fiorentino Camillo Camilliani il quale, dopo una minuziosa esplorazione delle marine dell'Isola, per la salvaguardia delle comunità isolana e capaciota, in particolare, propose la costruzione di una torre di tipo spagnola, a forma quadrangolare, da edificare sul dosso dell'isoletta in modo da completare la strategia difensiva della parte più vulnerabile del sistema, individuata in alcune rientranze delle coste comprese tra Capaci e Capo Gallo.

       Da allora le incursioni si ridussero notevolmente ed il detto "Non jiti a mare, li turchi ci sunnu" non fece più paura ai pescatori di Isola i quali poterono riprendere le loro attività marinare spingendosi con le barche sempre più lontano. Le coste siciliane furono naturalmente quelle più esposte al pericolo trovandosi a qualche giorno di navigazione da quelle nord-africane. Se si pensa, poi, che proprio di fronte al territorio di Capaci e di Isola, a circa 50 Km, sorge la solitaria isola di Ustica che nel Medioevo era in mano ai corsari saraceni e che venne usata a lungo come base per le loro incursioni, è facile immaginare in quale terrore vivesse allora la gente del luogo.

       Le Torri rappresentarono dunque uno straordinario mezzo di difesa e, seppure lacerate dal tempo o ridotte a ruderi dall'incuria degli uomini, ancora oggi svettano contro il cielo maestose e imponenti a far rivivere fantastiche lotte ed epiche resistenze o a raccontare di sfortunate fanciulle che ad esse legarono le loro esistenze affidando sogni e speranze crudelmente infranti al mondo delle leggende. 

       Tre furono le Torri che nel corso dei secoli testimoniarono la volontà di riscatto di una comunità che, uscendo dal feudalesimo, si andò affermando nella piena realtà di due splendide città: Capaci ed Isola delle Femmine. Resta, comunque, da dire che la ricostruzione storica e gran parte delle conoscenze acquisite su tali fortezze sono state rese possibili grazie alle accurate, pazienti ricerche in archivi spesso privati effettuate da alcuni studiosi tra i quali citiamo Salvatore Bologna di Capaci e Giuseppe Lo Cascio di Isola delle Femmine.

       Per le Torri interne o di salvaguardia, che sorsero numerose all'interno del territorio a difesa delle proprietà private e delle piccole comunità agricole dipendenti e che ebbero un ruolo d'importanza fondamentale per lo sviluppo dell'economia contadina nel periodo della Baronia, rinviamo al capitolo "Tra Leggenda e Storia - La Baronia" al seguente indirizzo: http://www.capaci.info.