Arti, mestieri e professioni del passato  

       La Capaciota 

       Prima che una barca dalle inconfondibili caratteristiche di alto valore tecnico, "la Capaciota"  possiamo considerarla un gioiello inimitabile di uno dei più antichi mestieri locali, una delle più alte creazioni dell'ingegno e dell'abilità dei "maestri d'ascia" (falegnami) che hanno saputo progettare e costruire un mezzo nautico così straordinario da meritare un posto di rilievo nei dizionari enciclopedici nazionali. Essa rappresenta il simbolo e lo spirito di un popolo che attraverso i secoli ha saputo esprimere in tacita umiltà le sue particolari doti di capacità e di inventiva suscitando rispetto e ammirazione anche oltre i confini territoriali. Ed in quanto compendia le memorie più preziose del suo passato marinaro, la "Capaciota" è ormai parte imprescindibile della storia nostrana.

       Il suo nome deriva dall'originaria intuizione della falegnameria locale la quale seppe progettare e realizzare una barca così agile e compatta da superare persino le più rosee previsioni degli stessi costruttori anche se fu solo molto più tardi, in seguito alle modifiche apportate dai pescatori di Isola delle Femmine, quando questa da tempo ormai aveva conseguito la propria autonomia, che essa divenne un vero gioiello del mare, consacrando definitivamente anche fuori i propri confini la sua fama di insuperabili capacità tecniche e superba armonia di forme e suscitando profondo stupore e interesse in tutto il bacino settentrionale del Mediterraneo.

         All'inizio, la "Capaciota" fu solo una normale barca da pesca come tante. In seguito, intuendone le potenziali capacità, gli stessi pescatori cominciarono ad apportarvi alcune sostanziali modifiche rafforzandone le strutture ed aggiungendovi, per ultimo, la vela con la quale poterono navigare verso porti più lontani della costa nord-occidentale della Sicilia, trasportando all'asciutto uomini, mezzi e materiali. Più tardi, con l'accrescersi delle necessità e dei bisogni, la barca così potenziata potè spingersi ancora oltre fino a raggiungere, in tempi mai prima concepibili, le coste dell'Africa settentrionale. Solo allora si ebbe la vera, autentica barca capaciota: salda e armonica nelle linee, leggera, veloce, resistente e facilmente governabile con qualsiasi tempo.

       Essa poteva contare su un equipaggio costituito da cinque uomini bene affiatati: un capo barca, tre marinai ed un mozzo.    

       Dal 1925 al 1940, le barche appartennero tutte alla classe "capaciota", note anche come "sardane". Erano lunghe da venti a trenta palmi (da 5.20 a 7.80 metri, essendo un palmo corrispondente a cm.26) e furono destinate principalmente alla pesca in acque territoriali. Quelle in uso in acque extraterritoriali, invece, avevano una lunghezza di 35 palmi (9.10 metri) ed erano attrezzate per la pesca d'altura e la salatura del pesce e poterono spingersi una volta tanto fino alle lontane coste dell'Africa settentrionale. Lungo i lati si insediavano i "currituri" (corridoi) che, saldamente incastrati ai falsi ponti di poppa e di prua a mezzo di fori, servivano per espellere l'acqua che entrava da fuoribordo o per poggiarvi il pescato. 

       Le "capaciote" venivano di solito costruite a Mondello, (frazione marinara della Città di Palermo), presso il rinomato cantiere della famiglia Cancelliere, nell'omonima via, alle spalle dell'antica Tonnara, con l'impiego delle essenze legnose del pino calabro, abete, gelso ed elce.

       Erano dotate di quattro remi e di una velatura di tipo latino con o senza "scuocchi" (fiocchi), la cui manovra, però, presentava un delicato equilibrio ed  un certo grado di pericolosità e richiedeva perciò grande maestria e massima perizia d’esecuzione per evitare qualsiasi pericolo di capovolgimento; il che riusciva assai bene agli abili pescatori isolani. 

       Gli equipaggi delle capaciote usavano quattro categorie di "mestieri" (reti), che adoperavano in maniera appropriata nelle acque delimitate a mezzo di "sinni" (segnali), che differivano secondo la varietà dei fondali e la cui conoscenza si tramandava da padre in figlio. II "tramaglio" era un tipo di rete di grande lunghezza e di piccola altezza, formata da tre teli ed in uso in tutte le barche, mentre le reti da "posta" per la pesca ad ami - "palamitara" (da palamito), "agugliara" (da aguglia), "uopara" (da uope) - erano usate da poche altre. La "tratta" per le alacce veniva usata dagli equipaggi che si recavano a pescare nelle acque tunisine e algerine per quaranta giorni l'anno, dai primi del mese di maggio alla terza decade del mese di giugno. II "tartanone", rete a strascico simile alla "sciabica" (arabo "shabaka"), però di minore dimensione, era adoperata da una dozzina di barche; la "lamara" da dieci barche. 

       Altri strumenti, invece, come le "nasse", i "palangresi" o "palangari", di solito erano usati da barche singole.

       Nella tradizione marinara il varo delle barche era simbolicamente legato all'idea che la cerimonia conferisse una vita propria alla materia lignea inerte. Il rito del battesimo o del varo significava per l'appunto che la barca era pronta per affrontare le onde del mare e che da quel momento entrava a far parte integrante della famiglia umana suggellando questo nuovo rapporto con l'imposizione del nome di uno dei suoi componenti. 

       Fino a pochi anni fa, era possibile vedere ondeggiare nelle acque appena increspate del porticciolo di Isola delle Femmine l'"Angelina", una delle ultime barche capaciote varata in un lontano giorno d'Ascensione, circondata dalle sagome di tante altre barche tradizionali e da una grande folla che dai moli assisteva affascinata all'insolito battesimo. Il silenzio era rotto solo da un lieve sciabordio di piccole onde che si rincorrevano lungo i suoi possenti fianchi accarezzandoli dolcemente. Le terrazze ed i balconi delle case prospicienti il porto erano addobbati da coperte di seta damascate e drappi colorati che con il loro festoso agitarsi sotto una leggera brezza di levante contribuivano a creare una fantastica cornice.   

       Colorata d'azzurro e con tre fasce sovrapposte (verde, bianca, rossa) l'armonioso profilo della "capaciota" spiccava tra le sagome di tante altre barche avvolta nella luce dorata di un tramonto quale solo in questi luoghi è possibile ammirare in tutte le sue sfumature da sogno.