Cultura

       I Menestrelli della Cultura

       Capaci purtroppo non vanta una buona tradizione nel campo della cultura estetica e letteraria. In un'epoca così aperta alle straordinarie avventure del pensiero e della scienza, nonostante la diffusione dei grandi mezzi di comunicazione, è mancato certamente l'elemento essenziale dell'impegno, dell'interesse e della sensibilità che affinano lo spirito elevandolo alla più alta formazione dell'intelligenza poetica e della pura contemplazione estetica. Sta di fatto che l'opera d'arte generalmente è vista come mezzo di ornamento e valutata con criteri pseudo-estetici venendo a mancare nel giudizio la chiarezza concettuale e l'impegno che l'opera d'arte, come alta espressione dello spirito, richiede ed esige. D'altro canto anche nel campo letterario prevale la fredda logica dei concetti impressionistici e psicologici tagliando fuori la sfera dei sentimenti e tutto quel mondo interiore e originale che assieme aprono alla conoscenza ed alla riflessione per divenire interpreti di alte testimonianze poetiche. 

       Eppure non sono mai mancate espressioni d'arte popolari che hanno trovato cantori locali, simili a menestrelli, attenti nel cogliere i problemi sociali ed esistenziali sia pure nei limiti del piccolo mondo paesano, senz'altro orizzonte che quello contingente e tangibile ma pur sempre capaci di imprimere un segno duraturo nella storia della cultura.

       Essi guardano, leggono la realtà, la interpretano a seconda della propria sensibilità e della propria creatività celebrando come in un rito gli eterni conflitti umani: amore-odio, gioia-dolore, vita e morte. 

       Ed accanto a questi cantori e, spesso, in contrapposizione ai temi celebrati, non meno autorevoli sono le voci femminili che si sono levate ad esplorare nel campo letterario il mondo delle favole altrettanto ricco di sentimenti spontanei dove la lotta contro i pregiudizi assume, però, una particolare prevalenza e dove gran parte dei personaggi possono esseri definiti nè del tutto buoni nè del tutto cattivi. Così è nel racconto per ragazzi (ma non solo) "I fantasmi e la bella e brutta Bambola bionda", pubblicato nel 1994 da Maria Ravveduto, una straordinaria autrice nostrana che trae la sua forza narrativa  da un innato senso creativo senza finzioni. Anzi, a ben guardare, proprio in quel mondo fantastico è possibile cogliere una semplice ma efficace metafora: in questa nostra civiltà dell'immagine spesso anche i "buoni" sono succubi della mania di "apparire" e i "cattivi" sono coloro che, corrosi dall'invidia, sono sempre pronti a deridere chi "sembra" più fortunato.

       Di lei citiamo ancora due romanzi "Una ragazza che lavorava per tre" e "Una povera cieca che non credeva di trovare la sua felicità", di prossima pubblicazione, oltre a numerose poesie in lingua italiana. Tali opere assumono certamente un fascino ed un vigore particolari se si pensa che la sua autrice non possiede alcun titolo di studio e che tutto scaturisce dalla sua fervida inventiva e si esprime in perfetta sintassi.

      Tra le voci poetiche del nostro tempo in vernacolo vanno ricordati Salvatore Scalici, inteso "Turiddu 'i Palma", e Salvatore Costanzo, noto come "Totò U Zuccularu", i quali con il loro linguaggio, attraverso significati e segni semantici, hanno saputo comunicare messaggi ricchi di contenuti umani e sociali ed esprimere sentimenti ed emozioni con immediata spontaneità.

        Spesso le loro poesie nascono da un naturale spirito di osservazione, senza lasciare spazio a riflessioni, che si traduce in una subitanea descrizione di intensi e repentini stati d'animo.

       Testimoni e messaggeri di fatti e di idee, essi non fuggono la realtà contemporanea ma la filtrano attraverso il setaccio della loro percezione, della loro cultura, del loro istinto, trasmettendo con estrema immediatezza un susseguirsi di immagini e di sensazioni straordinarie.

      Per meglio comprendere la particolare attitudine di questi menestrelli nostrani e cogliere il fascino di un mondo poetico nella sua espressione più immediata, si riportano di seguito alcuni saggi delle loro composizioni:

Fuemuninni
(Parole e musica di Salvatore Scalici)

      

Fuggiamo
(Traduzione)

Sta vita, bedda mia, nun possu fari
stari assittatu a rassu dinni tia,
'na vasatedda nun ti la pozzu dari
c'è to matruzza sempri chi talìa,
si nno to latu mi viri 'ncugnari,
si metti a ghittari vuci e murmuria.
Scappamuninni e levimi di sti guai
si no to matri mi porta a lu fossu.
'Na truscia fa di chiddu chi hai
accussì di supra mi levi sta manciaciumi. 

      

Questa vita, bella mia, non posso fare
stare seduto lontano da te,
un bacetto non ti posso dare
c'è tua madre che sempre guarda,
se accanto a te mi vede avvicinare,
si mette a gridare e a mormorare. 
Fuggiamo e levami da questi guai
altrimenti tua madre mi porta alla fossa.
Un fagotto fai di quello che hai
così mi togli questo prurito (desiderio di te).

U cecu
(Salvatore Scalici)

Il cieco
(Traduzione)

Vitti lu mari
Lu cielu e la terra
Vitti comu è composta
La tunnara.
Quannu jucavu mezu a
Li picciotti l'occhi
L'avevu comu du' saitti.
Ora caminu rantu
Rantu 'u muru. E m'impasturu picciali
Li trava ora mi trovu
Na sta terra cara.
E' megghiu ca Diu la morti mi prepari.

Ho visto il mare
il cielo e la terra,
Ho visto come è fatta
la tonnara.
Quando giocavo assieme ai
ragazzi, gli occhi 
li avevo come due saette.
Ora cammino canto
canto al muro. Persino le cose piccole me 
le ritrovo ora come grandi ostacoli
in questa terra cara.
E' meglio che Dio la morte mi prepari.

Maritu e Mugghieri litiganti
(Salvatore Scalici)

Litigio tra marito e moglie
(Traduzione)

E ccomu t'adda 'ncidiri
la testa cun'accetta
quannu m'arrobi i picciuli di
dintra la sacchetta!
Tu dunnazza inutili, dunnazza di putìa
mancu avevi l'onuri
di pigliarti a mia.
E tu omu di nenti, omu sgancaratu
quann'eru cchiu picciotta  
mi tiravi sempri u ciatu.
Tu omu crudeli cu riavulu
t'alliasti: acchianasti a cavaddu
a putra e a imenta a lassasti.

Eh come debbo tagliarti 
la testa con una accetta
quando mi rubi i soldi 
dalla tasca!
Tu donnaccia inutile, donnaccia pettegola
non eri neppure degna 
di avere me.
E tu uomo insignificante, uomo sconnesso
quando ero più giovane 
mi stavi sempre appiccicato.
Tu uomo senza cuore con il diavolo
ti sei alleato: hai lasciato una giumenta
per salire sopra una puledra .

U Paisi di lu cori
(Salvatore Costanzo)

Il Paese del cuore
(Traduzione)

Iu ci sugnu cca natu e crisciuto
di lu paisi miu sugnu onuratu,
cu rici testa dura è capaciotu 
mi spacca lu cori in dui com'un granatu.
Ora Capaci avi lu so situ, 
c'è tutta la storia di lu capaciotu.
Leggila e ni resti sbalorditu
e fai onuri a ccu l'amministratu.
Cerca Capaci e prestu ti l'unsigni:  
c'è aria di mari e aria di muntagni,
vinuzzu bonu fruttu di li vigni,
pani di casa e boni lasagni.
La Chiesa Matri è china di disigni;
Cu veni cca si ferma e si fa i bagni,
Odurinu di ciuri li campagni.

      

Io sono nato e cresciuto quì 
del mio paese sono fiero e orgoglioso,
chi dice che il capacioto ha la testa dura 
mi spacca il cuore in due come un melograno.
Ora Capaci ha il suo sito,
c'è tutta la sua storia. 
Leggila e ne resterai sorpreso
e rendi onore a chi l'ha amministrato.
Cerca Capaci ed in poco tempo la conoscerai:  
c'è aria di mare e aria di montagne,
vinello buono frutto delle vigne,
pane di casa e gustose lasagne.
La Chiesa Madre è piena di affreschi;
Chi viene quì si ferma per fare il bagno,  
Odorano di fiori le campagne.

Me Matri
(Salvatore Costanzo)

Quantu voti matri mia ri picciriddu,
circannu di darti un vasuneddu,
la facci ti tuccava cu lu nasiddu
e mi dicevi: s'i u me ancileddu.

Quantu voti mi dicisti: lazzaruni,
si mi vo' beni manciti lu pani, 
si nnò nun ti rugnu chiù un vasuni
e nun maccatti cu stocchi ruffiani.

Mi ricordu quannu mi chiamavi:
trasi fighiuzzu miu ca fora chiovi;
li spadduzzi vagnati m'asciucavi 
e mi mittevi li scarpuzzi novi.

Ora matruzza to figghiu crisciu,
ma tu lu chiami sempri "u picciriddu"
e ti lu raccumannu sempri a Diu,
anchi si tu ai bisognu cchiu ri iddu.

T'appoggi a lu me vrazzu vicchiaredda,
s'i divintata tu "la picciridda",
ma 'nta la facci s'i sempri cchiu bedda,
l'occhi ti brillanu comu na stidda.

Lu tempu passa e passanu li cosi,
m'ancora oggi quannu tu mi vasi
iu sentu lu profumu di li rosi
e 'nta lu cori la gioia mi trasi.

Matruzza, tu si china di duluri
e iu nun ti pozzu mai scurdari,
cu quantu sacrifici e quantu suduri
p'ammia putirimi allivari.

L'omu è appuggiatu 'nta tri culonni:
la libertà, lu pani e lu signuri;
matri, tu s'i la regina di li donni
ca ci 'ai 'nsignatu chi cos'è l'amuri.

 

 


 

 Mia Madre
 (Traduzione)

Quante volte madre mia da bambino,
nel tendermi per darti un bacetto,
il viso ti sfioravo con il nasino
e tu ti schernivi: sei il mio angioletto.

Quante volte mi hai detto: lazzarone,
se mi vuoi bene mangia il pane, 
altrimenti non ti dò più un gran bacione
e non m'incanti con questi occhi ruffiani.

Mi ricordo quando mi chiamavi:
vieni dentro figlioletto mio perchè fuori piove;
le esili spalle bagnate mi asciugavi 
e mi cambiavi le scarpette fradice.

Ora madre adorata tuo figlio è cresciuto,
ma tu continui a chiamarlo "il piccolino"
e a raccomandarlo continuamente a Dio,
anche se sei tu ad averne bisogno più di lui.

Ti appoggi al mio braccio ormai vecchietta,
ora sei tu ad essere diventata "la piccolina",
ma nel viso sei sempre più bella,
gli occhi ti splendono come una stella.

Il tempo passa e con esso tutte le cose,
ma ancora oggi quando tu mi baci
io sento il profumo delle rose
e nel profondo del cuore la gioia si riversa.

Madre cara, tu sei piena di dolori
ed io non potrò scordarmi mai di te,
con quanti sacrifici e quanti affanni
hai lottato per farmi diventare adulto.

L'uomo si regge su tre colonne:
la libertà, il lavoro e la fede;
madre, tu sei la regina tra le donne
perchè ci hai insegnato che cos'è l'amore.