Costume e Società
Tradizioni, Usi e Costumi: "U stinnagghiu"
Una menzione particolare merita "U stinnagghiu", un gioco di forza e di abilità che, seppure non legato tipicamente ad alcuna festa, fu tanto apprezzato da essere inserito fin dall'inizio in tutte le manifestazioni popolari, religiose e non. In realtà, proprio per la sue caratteristiche peculiari, conobbe alterne fortune tanto che solo un nome è entrato a far parte dei suoi fastosi annali: quello di Erasmo Scalici, meglio noto come "u z'Arasimu Tignusu", che ne è stato paladino, ininterrottamente dal 1870 al 1936, anche in competizioni rappresentative fuori territorio. In tanti hanno provato ad emularlo ma nessuno vi è mai riuscito.
Storicamente il gioco sembra vantare origini locali lontanissime risalenti alla seconda metà del sec. XIII e pare che sia stato praticato in epoche diverse e soltanto nei rari eventi in cui individui capaci ne hanno avuto attitudine.
"U stinnagghiu" (lo stendardo), nella versione a noi pervenuta, è rappresentato da un'asta robusta del diametro di 12 cm e 81 kg. di peso. E' lunga circa 5 mt e porta fissata in cima una palla di piombo del diametro di 30 cm raffigurante il mondo; questa a sua volta è sormontata da una piccola croce in legno, simbolo della cristianità.
L'asta veniva fatta "danzare" sul palmo di una mano al ritmo frenetico dei tamburi con cadenze veloci e armoniose, in perfetto equilibrio. Poi veniva fatta scorrere dolcemente sul mento per continuare a salire ancora, al magico tocco del pollice, fin sulla fronte e da qui scattare or sull'una or sull'altra spalla. La gente osservava in silenzio affascinata; anche il ritmo incalzante dei tamburi sembrava farsi più discreto durante le fasi più critiche di quelle evoluzioni, quasi a sottolineare la perfetta armonia dei gesti e dei movimenti che accompagnavano il volteggiare dello stendardo mentre il "giocoliere" avanzava sicuro sul terreno sconnesso.
Si dice che il gioco voglia simboleggiare la capacità e abilità dell'uomo (leggi "capacioto") nel sostenere in equilibrio il mondo intero con la sola forza della volontà sorretta da una incrollabile fede religiosa.
La tradizione vuole che esso abbia avuto origine verso la metà del 1200 da una casuale sfida sorta tra due giovani: i contendenti, reggendo sul palmo di una mano in posizione verticale un grosso ramo d'albero dovevano avanzare a piccoli passi in linea retta o girare in ampi cerchi su uno spiazzo improvvisato; lanciarlo poi volteggiante in aria per riprenderlo quindi sull'altro palmo continuando a sostenerlo dritto e senza eccessivi ondeggiamenti. La competizione ebbe termine soltanto quando uno dei due, per errore o per stanchezza, lasciò cadere il ramo a terra riconoscendo implicitamente la vittoria all'altro.
La gara, un concentrato di forza, di resistenza e di equilibrismo non comuni, suscitò tanto consenso ed entusiasmo da venire inserita, con diverse varianti e poche regole orali, tra le istituzioni sociali ricorrenti per emulare il coraggio e lo spirito di abnegazione che animavano quel piccolo nucleo di uomini forti e rudi, prevalentemente boscaioli pieni di fervore religioso, quali erano gli abitanti del luogo in quel tempo. Ma è molto più accreditata l'ipotesi che la sua istituzione abbia voluto esaltare lo spirito libero e combattivo di una comunità ormai consolidata e pronta a lottare in difesa di un territorio, di fatto stanzialmente acquisito, contro le soventi e feroci incursioni di pirati turchi o saraceni o le improvvise aggressioni da parte di avventurieri senza scrupoli.