Tra leggenda e storia

    Il Comune

      All'alba del nuovo corso, che per convenzione abbiamo collocato al 20 luglio 1820 (data della caduta del Castello, simbolo dello strapotere feudale), il paese si presentava all'appuntamento con la storia in una situazione politica, socio-economica e culturale davvero disastrosa. Del passato ereditava soltanto i guasti prodotti dalla lunga dominazione francese, prima, e spagnola, poi, senza contare i secoli di miseria e di prevaricazioni del periodo medioevale durante i quali aveva dovuto subire gli oltraggi di continue, violente invasioni da parte di fenici, cartaginesi, greci, romani, arabi, normanni, uscendone, però, sempre indenne e conservando intatti i valori atavici della comunità originaria. 

       La nuova classe dirigente, che veniva a sostituire l'aristocrazia baronale nelle campagne, era formata dalla grossa borghesia la quale, libera dal vecchio servilismo e da un certo conformismo, si sentiva ormai pronta ad assumersi le gravose responsabilità derivanti dall'amministrazione del nuovo Ente la cui popolazione era nel frattempo cresciuta fino a poco più di 3100 abitanti.

       Il primo Sindaco a cimentarsi in questo arduo compito nel lontano settembre 1820 fu un certo Girolamo Mazzola il quale, per la breve durata del suo mandato (circa un anno), ebbe il merito di predisporre tutti gli atti necessari per l'avvio dei lavori del Decurionato (Consiglio Comunale).

       Uno spaccato di quel tempo mostra una società profondamente percorsa da drammatiche contraddizioni soprattutto di carattere economico che, alimentando nuove lotte e divisioni, condizioneranno il suo sviluppo fin oltre la fine della Seconda Guerra Mondiale. Giova ricordare, infatti, che, con la caduta del feudalesimo e l'abolizione dei privilegi ad esso collegati, l'economia politica venne ad incentrarsi nelle mani di pochi facoltosi benestanti, in particolare di una nuova ricca famiglia che si affermò con l'acquisto di grandi estensioni di terreno provenienti dalla frantumazione dei patrimoni di alienazione feudale di casa Pilo e, dopo l'unità d'Italia, dalla soppressione dei beni ecclesiastici. 

       Il riferimento riguarda i Sommariva, una famiglia di origine genovese, proprietari e armatori di vascelli mercantili, venuti in Sicilia verso la fine del XVIII secolo, i quali, investendo i cospicui proventi delle loro attività marinare e mercantili, seppero occupare in poco tempo uno spazio importante nell'economia palermitana trasformandosi in proprietari terrieri con l'acquisizione di estese proprietà, come Giampaolo, Ciachea e Falconeri presso Torretta, la verde pianura di Luogo Grande e, ancora, Susetta e Trappeto, appartenute ai Conti Pilo.

       Di contro era venuto sù un piccolo gruppo di affittuari, quasi sempre Enti ecclesiastici, i quali, prendendo a censo i terreni dei Conti Pilo, si impegnavano a pagare l'affitto, a migliorare le culture e a costruire a proprie spese magazzini, stalle, abbeveratoi. Accadeva pure che gli Enti religiosi concedessero in subaffitto il terreno a diversi coloni (borgesi, massari, terrazzeri, metateri, etc.) sui quali gravava per intero l'onere delle coltivazioni; ma talvolta erano semplici contadini che altro non possedevano se non un paio di buoi o addirittura la sola zappa. Molto spesso tutti questi gabellotti, a causa degli alti costi dei censi e delle coltivazioni, finivano col non pagare l'affitto dei terreni. I Sommariva, forti dei capitali provenienti dalla vendita delle proprie navi, tra il 1840 ed il 1850, furono in grado non solo di riscattare le aree agricole date in censo a gabellotti inadempienti ma, in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, negli anni successivi all'unità d'Italia, di rilevare anche le grandi proprietà fino ad allora date in censo ad Enti ecclesiastici (come Ciachea e Falconeri). 

       Fu così che i Sommariva divennero, quasi senza avvedersene, proprietari di un vero e proprio latifondo che dalle rive del mare, costeggiando le pendici di Pizzo Muletta ed il greto del torrente Ciachea, arrivava fino alle propaggini di Torretta, ricostituendo, in un certo senso, quello che era stato il feudo dei Conti Pilo. 

       L'acquisizione di queste grandi proprietà fu opera di Domenico Sommariva Gamelin, prima, e del figlio Domenico Sommariva Grenier, dopo. Si deve al figlio di quest'ultimo, Domenico Sommariva Atramblè (1852-1907), la saggia ed accorta amministrazione del patrimonio di famiglia che mantenne ed accrebbe con grande abilità. 

       Questi fu per molti anni capo del Consiglio Comunale di Capaci e seppe guadagnarsi stima e fiducia anche per la grande generosità dimostrata nei riguardi delle persone meno abbienti del paese e delle istituzioni di carità, tanto che, alla sua morte, il Consiglio Comunale, ad imperituro ricordo, intitolò a lui il corso principale.

       Due generazioni più tardi, però, anche questo latifondo così orgogliosamente ricostituito dovette subire una nuova frantumazione per divisione ereditaria e successiva alienazione di alcune proprietà di famiglia. 

       Con l'avvento del Comune l'agricoltura conobbe una nuova splendida stagione mentre con l'aumento della popolazione fiorirono le più disparate attività commerciali e professionali ed i mestieri più umili che tuttavia vennero esercitati con straordinaria inventiva pur di sbarcare il lunario; senza contare il lavoro dei contadini la cui condizione era veramente misera e difficilmente concepibile perfino ai giorni nostri. Era chiaro, quindi, che le prospettive di sviluppo dovevano avere a base riforme coraggiose accompagnate dalla contemporanea maturazione della classe politica e da certe rinunce velleitarie da parte di alcuni ceti e che, comunque, la soluzione non poteva essere ricercata a livello locale. Il problema investiva poteri politici molto più ampi ed elevati per cui la capacità di ripresa economica e sociale poneva il suo presupposto in una piena autonomia regionale che si concretizzerà molto più tardi, il 20 maggio 1947, con la prima assemblea tenuta nel Palazzo dei Normanni a Palermo. 

       Intanto, il I° gennaio 1855, Isola delle Femmine si staccava da Capaci con un terzo del suo territorio e si costituiva Comune autonomo mentre molti dei suoi abitanti, dopo avere risolto i problemi più impellenti della nuova comunità, cercavano nell'esodo migratorio assieme alle proprie famiglie la soluzione dell'occupazione e della casa, dapprima in terre vicine (Isola di Lampedusa, San Vito Lo Capo, Baracche di Trapani, Favignana, Mazara del Vallo, Sciacca), poi in stati sempre più lontani (Tunisia, Algeria) ed infine oltre oceano (California, Alaska).

       I capacioti, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, intrapresero anch'essi la ricerca di un destino migliore percorrendo le vie del mondo dove li ha sempre portato lo spirito di laboriosità e di intraprendenza. Tali emigrazioni ebbero dapprima carattere temporaneo (1870-1890) ma divennero veri flussi migratori sempre più intensi nei periodi 1911-1913, 1922-1930 e subito dopo la fine della 2^Guerra Mondiale, per arrivare ai giorni nostri nei quali, per fortuna, il fenomeno si è molto attenuato. Lo sbocco di questi esodi ebbe nei paesi extraeuropei il punto di riferimento, (in particolare: Stati Uniti, Venezuela, Messico, Canada), per poi indirizzarsi, sul finire degli anni '50 del secolo scorso, verso il Nord-Italia, la Francia, la Svizzera, la Germania, l'Inghilterra.

       Ormai il grande sogno sembra essersi realizzato e comunque ora il capacioto può guardare con più fiducia al proprio futuro ed a quello della sua progenie come i suoi antenati hanno fatto prima di lui e con fierezza potrà volgere indietro lo sguardo per comprendere a fondo la memoria storica delle proprie origini che si identificano con la terra che lo ha visto nascere e crescere e che come un faro guida il suo cammino.

       Il resto è storia contemporanea.