Tra leggenda e storia

     La Baronia

       Il 18 marzo 1520, tre anni dopo l'unificazione giurisdizionale dei beni patrimoniali, Francesco Beccadelli Bologna, figlio di Giliberto, per la fedeltà dimostrata nei confronti dell'imperatore Carlo V durante un tentativo di ribellione di alcuni principi che vagheggiavano la costituzione di liberi comuni in uno stato allora fortemente monarchico, venne investito del titolo di barone del Casale di Capaci con il conseguente passaggio al periodo storico della Baronìa. 

       Qualche anno più tardi, il 20 maggio 1523, per la prima volta, al nuovo signore venne concesso lo "jus populandi", il diritto, cioè, di costruire nel feudo un castello ed una torre; una prerogativa di fondamentale importanza che permise di riorganizzare centralmente la piccola comunità locale e di incoraggiare l'insediamento di molti altri coloni provenienti da fuori con allettanti prospettive economiche. La nuova concessione, oltre a conferire la possibilità di edificare le strutture di base, favorì anche l'opportunità di gettare le fondamenta della Chiesa Madre, di alcune case di servitù e della cinta muraria di protezione.

       Tale riconoscimento diede senza dubbio una svolta decisiva al programma di riordino del territorio e costituì una insperata occasione per definirne l'assetto urbano e rurale, in funzione anche di una difesa più efficiente, tenuto conto che già il 9 ottobre 1521 gli speciali privilegi - detti di Augusta, Siculiana e Terranova - accordati a favore di coloro che andavano a popolare il feudo di Capaci, ancora disabitato a causa delle continue incursioni pirate provenienti dal mare, non avevano conseguito esiti apprezzabili.

        Fu così che la Città di Capaci, uscendo dalle memorie incerte del passato e dal fascino ammaliante delle leggende, intraprese il suo cammino verso la Storia.

       Ma fu soltanto molto più tardi, il 14 luglio 1556, che il progetto di colonizzazione previsto dalla "licentia populandi", ossia la piena podestà di costruire sulle terre e di garantire un'epoca nuova di prosperità economica e sociale, potè essere attuato compiutamente da un discendente di Francesco Beccadelli Bologna, Giliberto II, divenuto successore ed erede universale di Francesco Beccadelli Bologna, essendo il primogenito Girolamo premorto al padre.

       Il 14 luglio 1556 può considerarsi, dunque, la vera data di avvio di quel processo di sviluppo urbanistico che portò al consolidamento del centro abitato ai piedi del monte Raffo Rosso (Pizzo Manolfo) ed all'insediamento stabile dei suoi abitanti. Fu allora, infatti, che venne deciso di portare a termine le opere di ampliamento del nucleo centrale abitativo e delle strutture protettive costituite dalle mura e dalle numerose torri interne, esterne e di mare creando così basi certe per un suo assetto definitivo.

       L'espansione urbanistica ebbe il suo punto forte nell'impianto ottagonale della sua viabilità, di indubbia ispirazione alla forma geometrica della Chiesa Madre, e nella pianificazione delle case ad una elevazione con relativa soffitta lungo strade poco ampie ma diritte e parallele.  

       Pochi anni prima la Sicilia, legando le sue sorti al regno di Aragona, aveva imboccato la lunga e mortificante strada del vicereame spagnolo che durerà fino al 1713. Saranno secoli di grave decadenza per l'Isola, governata da avidi vicerè, capaci solo di arricchirsi, e percorsa da congiure, ingiustizie e rivolte. Per tutto questo periodo (quasi tre secoli) il baronaggio sarà il protagonista principale della vita politica ed economica per cui il prestigio sociale, nelle attività pubbliche e morali, si fonderà unicamente sul possesso della terra mentre la nobiltà farà suo il monopolio del "sicilianismo" che le consentirà di trascinarsi dietro una politica di parte, interprete solo dei propri interessi. "Sicilianismo" soleva significare appunto difesa ostinata del privilegio in ogni suo aspetto, gelosa cura delle autonomie e delle consuetudini, rispetto di tutti quei diritti particolari che ogni barone era riuscito ad ottenere o ad usurpare. 

       Anche Capaci purtroppo risentì degli influssi di questo sistema pur non essendo teatro di particolari avvenimenti che altrove furono forieri di lotte per il riscatto .

       Come abbiamo più volte ricordato, risale ai primi anni della baronia la costruzione della cinta di protezione muraria con due entrate: la principale ed anche la più grande era prospiciente l'odierna Piazza Calogero Troia e denominata "Porta San Cristoforo", dall'omonimo Santo, protettore dei viandanti, la cui effigie è pervenuta fino a noi riprodotta in raffinata maiolica sul muro di fondo di una casa situata in un angolo della stessa piazza; la minore, "La Portella", si affacciava sulla trazzera Zercate, all'inizio della quale, in uno spiazzo oggi corrispondente a Piazza Santa Rosalia, vennero ubicate tre grandi vasche comunicanti, destinate: la prima, ad abbeveratoio, le altre due a lavatoio. Una sola bocca, posta a monte, assicurava il ricambio continuo dell'acqua di sorgente.

       Le mura vennero erette tutt'attorno al centro abitato per fronteggiare le scorrerie dei pirati e le incursioni di bande di disperati. Al suo interno le case terranee e solerate (pianterreno e soffitta) furono disposte intorno al castello ed alla chiesa mentre una fontana, alimentata da ricche falde sorgive, rappresentò una sicura fonte di approvvigionamento idrico.

       Tali fortificazioni ebbero in comune tre elementi: 1) un'unica cinta muraria, per il controllo totale del territorio attraverso i camminamenti; 2) le torri interne (escluse, quindi, quelle esterne o di avvistamento), sedi delle guardie; 3) il castello, residenza del signore. 

       Tra le roccaforti interne al territorio ed alle mura sono da ricordare le torri Puccio, Scalici, Troia, Oliveri, quella del Cortile Serpotta nel centro abitato e le torri Bellomi, nel territorio del Comune di Torretta, e Susetta.

       Una menzione particolare merita la "Torre delle Vacche" una fortezza militare che, nel sistema di difesa costiero del territorio, ben si inserì tra le opere di avvistamento esterne, a protezione dei campi messi a cultura tra Capaci ed Isola ed a sorveglianza del Passo di Sferracavallo e della Portella della Balata che dal piano della marina di Isola, per un angusto e difficile percorso, portava in cima al monte Billiemi.

       Sorta nei primi anni del '500 ai piedi di questo massiccio montuoso in località Estremola, alle spalle di Isola delle Femmine ed a metà strada tra Capaci ed il complesso industriale dell'Italcementi, ebbe forma rettangolare di m.8 x m.5 circa, un'altezza di poco inferiore ai 12 metri ed un'ampia vista sullo specchio di mare capacioto e su tutta la linea costiera fino a Punta Raisi.

       Era costituita da una elevazione fuori terra con un unico ingresso, stretto e basso, situato in corrispondenza del primo piano, e svolse soprattutto un ruolo non indifferente nel controllo e nella difesa della sicurezza dei viandanti e del traffico delle merci trasportate attraverso il tortuoso percorso che si snodava alle sue spalle e che metteva in diretta comunicazione il tratto costiero Carini-Capaci con la città di Palermo. Ad essa era pure affidato il compito di assicurare una certa tranquillità di transito ai pescatori che giornalmente percorrevano a piedi questo tratto di trazzera per recarsi alla Tonnara.

       Gli elementi di difesa erano rappresentati da strette feritoie, due per lato, aperte in direzione occidentale ed orientale sia nelle pareti del piano sopraelevato che nel parapetto del terrazzo il quale era dotato di quattro torrette poco elevate situate in posizioni angolari e di una caditoia collocata in corrispondenza ed a protezione dell'ingresso. In caso di assedio prolungato, la speranza di aiuti era riposta nell'arrivo dei cavallari, una squadra di cavalleria utilizzata per le perlustrazioni delle coste da maggio ad ottobre.

       Strategicamente essa era in diretta corrispondenza con le due torri di Isola, con quella orientale della marina di Sferracavallo, denominata "Torre A", con quelle del versante occidentale capacioto e con la sovrastante "Torre Mollica" detta "il Malpasso", i cui resti non sono stati ancora individuati con certezza.

       Durante l'ultima guerra mondiale, nel corso di esercitazioni militari, navi americane l'hanno sottoposta a ripetuti cannoneggiamenti causandone la parziale demolizione, così come è avvenuto per la "Torre Di Fuori" nella quale gli effetti distruttivi sono visibili anche da lontano. Ma prima e dopo l'evento bellico la "Torre delle Vacche" è stata oggetto di moderne modifiche strutturali e di maldestri tentativi di trasformazione in abitazione di campagna o in recinto per animali.

       Oggi, purtroppo, la "Torre delle Vacche", volgarmente nota come "'a Turri 'i Vacchi", non esiste più essendo stata rasa al suolo negli anni '60 durante la costruzione della sede autostradale Palermo-Punta Raisi che in quel tratto corre parallelamente alla SS.113. 

       Appartengono, invece, ai "bagli" (cortili chiusi) le fortezze costruite dai privati a difesa delle loro proprietà e delle piccole comunità agricole dipendenti. Essi sono costituiti da una corte quadrata circondata da alte mura con portone d'ingresso ad arco a sesto pieno, da qualche fabbricato rustico e da un immancabile pozzo. Su tutto sovrastano le torri che conservano le caratteristiche strutturali di quelle cittadine di avvistamento a due piani con terrazzamenti e camminamenti per la ronda e che si presentano a forma cilindrica o quadrangolare secondo se edificati nel XV o XVI secolo.

       Meritano di essere ricordate perchè ancora oggi perfettamente conservate le Torri: Giampaolo (forse la più antica fra tutte), alle pendici occidentali del monte Muletta, Isabella, pochi chilometri più avanti sulla provinciale per Torretta, Susinna, tra le pendici di monte Zercate ed il torrente Ciachea, Morfino, in contrada Falconeri, e la stessa Torre Ciachea, al confine tra i Comuni di Capaci e Carini. Quest'ultima, un tempo proprietà dei Conti Pilo e poi data in gestione ad un ordine religioso, nel 1866, in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, venne acquistata con i terreni di pertinenza da Domenico Sommariva Grenier e venduta nel 1920 al barone De Pace e quindi pervenuta, per successione, al barone Guido Calefati di Canalotti al quale si deve il miglioramento e l'ampliamento della parte abitativa.

       Un lungo filare di pini adornava il viale d'accesso che dalla SS.113 porta al baglio Ciachea. Tra le sue caratteristiche più rappresentative possiamo citare senz'altro la pavimentazione del cortile con ciottoli di fiume, a disegni regolari, la campana per annunciare oltre le cerimonie religiose anche l'inizio e la fine del lavoro nei campi, nonché la cappella gentilizia con diritto di Messa, situata nella corte, vicino all'ingresso. Ma la peculiarità più interessante e suggestiva rimane certamente l'ampio recinto bastionato con un lungo camminamento di ronda tracciato sopra le sue mura, esempio pressochè unico in tutta la provincia palermitana.

       Il ruolo di difesa più importante venne assegnato senza dubbio alle torri "di fuori" ed a quelle "di mare" che posero fine a ruberie e ad attacchi vandalici. Queste torri, fortificati nei punti strategici più elevati ed adeguatamente armati, furono capaci, infatti, di tenere lontano il nemico e, spesso, di farlo desistere dall'impresa. Tanto che il pericolo si ridusse notevolmente e il detto "Nun jiti a mari, li Turchi ci sunnu", non fece più paura ai pescatori capacioti che, con le loro barche, cominciarono a spingersi sempre più lontano dalla costa. 

       L'ultima incursione in forze di cui si ha notizia riguarda il borgo marinaro di Isola delle Femmine e risale all'anno 1602.