Il territorio  

           Arti, mestieri e professioni del XIX secolo

       Prima di proseguire e per meglio comprendere gli aspetti particolari della vita economica cittadina di un recente passato, cui rimangono legati affetti, ricordi e qualche nostalgia, appare opportuno richiamare alla memoria talune figure di maestranze che con le loro attività minori hanno saputo esprimere in modo straordinario il meglio del loro ingegno e della loro abilità tanto da suscitare profondo rispetto e vivo interesse anche al di fuori della dura realtà contemporanea. Ma ci preme soprattutto rievocare le difficili condizioni socio-economiche nelle quali, tra il XIX ed il XX secolo, sono fioriti tali arti e mestieri per coglierne appieno le eccezionali caratteristiche umane e professionali ed ascriverle con doveroso riguardo tra le pagine più belle della nostra storia prima che il tempo ne travolga persino il ricordo.

       Verso la fine del XIX secolo si contava in Capaci una popolazione di circa 4.500 abitanti.

       "Vivevano originari di detta terra - si legge in una nota dello storico palermitano Gioacchino Di Marzo (1839-1916) - 8 religiosi e l'arciprete Don Vincenzo Bologna, uomo buono e caritatevole, e poi altri qualificati e vari impiegati fuori di paese in cariche e uffici.

        Alcune persone che rappresentavano la comunità erano distinte in due ordini, dei Signori che vivevano di pura entrata e dei contadini, buoni possidenti.

       Inoltre, contavansi in Capaci 3 botteghe da fabbro, altrettanto di sartore, 4 di falegname e 6 da calzolaio, altre provvedute da commestibili, come ancora di cera, droghe, bottoni, seterie, chincaglieria ed altro occorrente. Contavansi pure carrettieri, giardinieri, ortolani, calderari, stagnini, pescatori, capi mastri muratori, più barbieri e molte altre persone applicate a varie arti e mestieri.

       Meritano particolare altra considerazione le donne e fra queste due donne che facevano panni e abiti per uso anche dei vicini e delle tessitrici che oltre di qualsiasi lavoro fabbricavano tele di canapa, cotone e reti per uso di barche, lavorando anche per questo tipo d'industria alcune giovanette. In paese vi era una provveduta speziaria".  

       In questa galleria di immagini, che nei più anziani risvegliano certamente sprazzi di nostalgiche memorie e nei più giovani lasciano intravedere chissà quali scorci di vita idilliaca, la figura più caratteristica appare senza dubbio quella del "mastro barbiere" che ogni giorno doveva industriarsi per sbarcare il lunario, sempre indaffarato ora a tagliare capelli e a radere barbe, ora a indirizzare a un medico a Palermo o a cavare un dente a un povero malcapitato oppure a consigliare una cura per un animale malato e a volte anche a combinare qualche matrimonio.

       Altrettanto precarie e imprevedibili erano le condizioni dei "mastri firrari" e dei "mastri muraturi" dei quali si diceva che "erano come il vento quando soffia".

       Molto diffuso era il lavoro a domicilio dei sarti e delle sartine mentre in piccole botteghe attendevano ai telai le "fimminedde" (ragazze) dette anche "careri" (tessitrici).

Comu su sapuriti sti careri
si li viditi camminari
pari camminassiru banneri.

Come sono graziose le tessitrici
se le vedete camminare
sembra che sventolino come bandiere.

       In questa passerella di ricordi, inoltre, non possiamo dimenticare un gruppo di persone che, pur non rivestendo una posizione sociale ben definita, rappresentavano una buona parte delle attività economiche minori come quelle degli ambulanti: dell'acquaiolo, che nei giorni di festa vendeva "acqua e zammò" (acqua con anice); del vaccaro, che mungeva il latte davanti la porta del cliente; del caffettiere, che vendeva caffè caldo la mattina; dell' "uvara" (la venditrice di uova); "du panellaru", che friggeva la farina di castagne; "du sferracavadduoto" (il pescivendolo di Sferracavallo); dei "mastri scarpara", che riparavano le scarpe e le facevano nuove su misura; "du sunaturi", che tutti i giorni cantava accompagnandosi col suo violino per le vie del paese.

       Se, poi, a questo variegato mondo di dolente umanità aggiungiamo la categoria dei contadini, la cui vita era veramente dura e difficile, la testimonianza delle condizioni sociali ed economiche della città alla fine dell'800 appare in tutta la sua intensa drammaticità. E tuttavia in quel mondo così piccolo e semplice, che a volte induce al sorriso, è possibile cogliere le passioni ed i sentimenti di riscatto e di liberalismo che infiammarono gli animi durante tutto il secolo XIX. Era l'epoca, infatti, in cui i cantastorie girovagando per città e paesi, attraverso composizioni e rappresentazioni, narravano fatti e avvenimenti che esaltavano lo spirito di ribellione e di protesta di tutto il popolo siciliano contro le prime leve militari, l'oppressione fiscale, la monarchia sabauda che non seppe o non volle sbarazzarsi della pesante eredità lasciata dalle classi dirigenti feudali.