Il territorio

       Le risorse economiche

       Il territorio non è molto ricco di terreni pianeggianti coltivabili. Le sole aree con interramento sufficiente allo sviluppo agricolo e privo di rocce affioranti sono concentrate nella pianura a sud del centro abitato ed individuano le Contrade Carrubella e Sommariva. Ad esse si aggiungono piccoli appezzamenti nella valle del torrente Ciachea che vanno sotto il nome di Contrada Luogo Grande.

      In queste zone un razionale sfruttamento delle risorse idriche disponibili (costituite in gran parte da pozzi artesiani e da qualche sorgente nelle zone montuose meridionali) e una capillare rete di tubazioni sotterranee in terracotta avevano permesso comunque lo sviluppo di splendidi giardini, coltivati principalmente ad ulivi ed agrumi, fiorenti fino alla metà del secolo XIX.

     Verso la fine dello stesso secolo una stazione di pompaggio, ubicata in Contrada Pozzo e nota con il nome di "Macchina Oliveri", divenne la principale fonte di irrigazione dei terreni agricoli posti anche fino a 70 mt. sul livello del mare attraverso una fitta rete di distribuzione che riusciva a soddisfare il fabbisogno di quasi tutto il territorio comunale. L'acqua veniva sollevata a mezzo di una pompa sommersa alimentata da una macchina a carbone da un pozzo profondo circa otto metri fino alla cima di un'alta torre, costruita in mattoni rossi e visibile a grande distanza, da dove, sfruttando un ben noto principio fisico, veniva fatta defluire fino ad una colonna posta a quota più elevata ma ad uguale altezza della prima e nota come "Torre Puccio" e da quì, secondo lo stesso principio ed a mezzo di altri castelletti, inviata ancora più lontano, fino alla sua destinazione.

      Il funzionamento della macchina, di costruzione austriaca, non conobbe soste tranne che nel corso della seconda guerra mondiale nei periodi in cui il carbone venne a mancare per cui soltanto chi aveva la possibilità di fornirlo personalmente potè fruire del servizio. 

     Agli inizi degli anni '50, in piena era industriale, l'alimentazione a carbone veniva sostituita con quella ad energia elettrica. Ma già l'agricoltura mostrava i segni di un progressivo cedimento produttivo i cui effetti hanno determinato una lenta ma irreversibile tendenza alla cessazione definitiva dell'attività della "Macchina Oliveri", avvenuta alla fine degli anni '80.     

     L'espansione urbanistica e la frammentazione delle proprietà terriere nel volgere di pochi anni hanno fatto il resto portando, purtroppo, alla distruzione della rete d'irrigazione e all'abbandono delle coltivazioni. 

      Le zone rocciose sono invece rimaste occupate da macchie mediterranee nelle quali sopravvivono pochi esemplari di carrubo e di frassino da manna la cui estrazione costituì per lungo tempo una delle principali risorse economiche locali e la cui qualità molto pregiata valse a dare al paese una particolare rinomanza anche oltre i confini territoriali.

      Paese metà agricolo e metà marinaro, Capaci è stata sempre una delle comunità più ragguardevoli delle contrade occidentali di Palermo, quasi pioniera di progresso civico per la laboriosità dei suoi abitanti dalla personalità versatile formatasi per strati sociali al passo con i tempi e tempratasi per molti nella solitudine di terre lontane alla ricerca di un destino migliore.

      Nel secolo scorso, quando ancora costituiva un unico ceppo con Isola delle Femmine, vantava grandi tradizioni marinare e rappresentava una scuola artigianale di tutto riguardo: era l'epoca in cui abili maestri d'ascia (falegnami) costruivano quelle barche ampie e leggere, armoniche e salde nella linea, chiamate, appunto, ‘capaciote', le quali, tra la fine dell'800 e i primi decenni del '900, solcarono sicure i mari aperti spingendosi da sole od in formazione con altri pescherecci fin sulle coste della Tunisia e dell'Algeria.

      Ma anche le sue tradizioni agricole sono rimaste legate ad una specifica cultura tipica di questo territorio: quella del fico d'India che cresceva un po' dovunque; non solo sulle pendici dei monti ma anche vicinissimo al mare, bastando poca terra alla sua sopravvivenza. E non era raro vedere delle piante di fico d'India crescere nella sabbia, vicinissime alla battigia. Eppure pochi sanno che il fico d'India ha trovato la piena valorizzazione dei suoi frutti proprio a Capaci ove pare abbia avuto origine la ben nota operazione della 'scuzzulatura', ovvero il taglio delle prime gemme che permette di ottenere frutti più grossi e più saporiti.

      Sull'origine della 'scuzzulata', che deriva da una tecnica colturale solitamente impiegata alla fine della primavera, consistente nell'eliminazione di buona parte dei fiori e dei frutticini ad essi congiunti, lo scrittore palermitano Giuseppe Pitrè (1841 - 1916) riferisce:

      "...E' voce generale che un colono di Capaci si rifiutasse di vendere la produzione dei suoi fichi d'India ad un conterraneo che vi aspirava, e che costui, indignato del diniego, vendicasse la ricusa con la violenza, atterrandogli i frutti in piena fioritura. Questo eccesso vandalico produsse effetti contrari alle sinistre intenzioni del malvagio autore. I frutti rinacquero poco dopo sugli internodi in minor numero, ma turgidi e promettenti oltre l'usato, e vennero a maturare con buccia fine e polpa così serrata e consistente da potersi conservare in magazzino per più mesi all'anno e resistere agli eventi delle lunghe navigazioni...". Veniva in tal modo assicurata quella commercializzazione del prodotto sui mercati esteri che avrebbe trovato largo sviluppo ai nostri giorni.

      Fin dall'età storica i boschi di frassino hanno coperto le valli e le pendici dei monti di questo territorio che certamente Cartaginesi e Romani dovettero visitare frequentemente perché il legno di frassino, a quei tempi, trovava larghissimo impiego anche nella produzione di aste per le lance che, come è noto, costituivano le tradizionali armi di assalto e di sfondamento impiegate dalle due milizie nelle battaglie.

      La cultura del frassino cedette poi all'impianto dei primi giardini e Capaci, fino alla prima metà del secolo scorso, si trovò circondata da fiorenti agrumeti che occupavano quasi tutte le aree irrigue coltivabili e, particolarità singolare, furono impiantati anche all'interno di antiche cave di pietra abbandonate, buone a difendere limoni ed aranci dal vento e dalla salsedine.

      Peccato che di questa lussureggiante vita ipogea degli agrumi non sia rimasta quasi più traccia essendo state convertite quelle vecchie cave in aree edificatorie per villette più o meno abusive.

      Erano tempi (poi non tanto lontani) di un paesaggio sereno e ancora arcadico con mandrie di pecore e mucche che pascolavano lungo i pendii delle coste e negli avvallamenti di Soprabanco avendo per stalle le fresche profondità delle grotte tufacee.

      La fascia pedemontana dei monti Raffo Rosso e Muletta era ancora intatta, fitta di frassini e oleastri, residui della folta macchia che già diversi secoli prima aveva caratterizzato il territorio insieme a fichi d'India, pistacchi, olivi, carrubi, alle alte ferule e alle superbe agavi un tempo così fitte e così somiglianti, nelle loro altissime efflorescenze, ad un esercito di orgogliosi lancieri in marcia.

      Poi, superata la soglia degli anni '50, le condizioni ambientali sono radicalmente mutate con l'avvento della speculazione edilizia e dell'incontrollato abusivismo, dilagati a macchia d'olio nel territorio, reso anonimo e cementificato.

       Quanto ai capacioti, essi, adeguandosi alle veloci trasformazioni dei tempi, oggi prestano la loro opera nelle attività terziarie e turistiche; sono imprenditori e commercianti e, come in passato, molti di loro continuano a percorrere le vie del mondo dove li porta lo spirito di laboriosità e di intraprendenza.    

     Quanto allo sviluppo industriale, negli anni '60 si è assistito all'insediarsi di due complessi industriali di medie dimensioni: la SINES per la produzione di vermouth e la VIANINI per la costruzione di pali in cemento.

     Dei due stabilimenti, appartenenti a grandi imprese multinazionali, posti alle estremità est ed ovest del paese in stretta connessione con la viabilità stradale e ferroviaria: il primo (SINES) è stato trasformato in industria casearia per la produzione di mozzarella ed in  centro commerciale alimentare; il secondo (VIANINI) è attualmente in corso di smantellamento e non è logico pensare che possa in qualche modo riprendere il ciclo produttivo.

     Altra attività, d'interesse artigianale, era costituita dall'industria estrattiva della pietra ricavata dai pendii di Pizzo Muletta e dalla fabbrica di calcestruzzo operante in loco.  

     Gran parte dell'economia del paese dipende ancora oggi dal commercio di tessuti esercitato soprattutto in forma ambulante. Ma non è utopistico pensare che un'attività artigianale a carattere turistico, flessibile e moderna, non possa far nascere un polo di interesse economico alternativo. Si pensi, per esempio, alla lavorazione del legno, della plastica o della ceramica per la produzione di oggetti artistici, arricchiti magari da ornamenti e decorazioni fantasiosi, a colori nuovi e accattivanti, che certamente l'inventiva della nuova generazione locale non mancherebbe di valorizzare.        

     A questa si aggiunge una piccola attività stagionale, legata alla fruizione della spiaggia, che risulta scarsamente  incisiva per l'assenza di infrastrutture di base indispensabili per imprimere una svolta decisiva al decollo di un turismo veramente attivo da permettere ai visitatori una permanenza più lunga e confortevole con un notevole incremento dell'economia locale. 

     Le premesse per un sicuro sviluppo ci sono tutte: il clima, caratterizzato da inverni miti e umidi e da estati calde, secche e molto lunghe; il cielo quasi sempre limpido e terso; il fascino di panorami senza confini ed una cittadina pulita e laboriosa, non molto rumorosa nè caotica, dove è ancora possibile ascoltare il canto mattutino degli uccelli od il frinire incessante delle cicale negli assolati meriggi estivi.