Il territorio

        La configurazione

       Fino a pochi anni fa il passeggero che da Palermo si recava a Capaci lungo la statale 113, appena oltrepassato la punta estrema della Cala di Sferracavallo, gli occhi ancora colmi del fascino ammaliante della vicina Conca D'Oro, poteva cogliere il graduale ma netto cambiamento del paesaggio che, immerso nel verde intenso delle coltivazioni agricole ed aleggiante nei luminosi colori del mare, svelava poco a poco tutta la sua incantevole bellezza come un'ostrica che si schiude lentamente per mostrare la sua fulgida perla.

       Man mano che avanzava lussureggianti giardini di limoneti e aranceti sembravano schierarsi al suo passaggio come a dargli il benvenuto mentre l'asse stradale, a partire dal Km. 17, continuava a snodarsi fino a rivelarsi in tutta la sua estensione: un corso lungo 2 km che attraversa l'intero abitato dividendolo in due parti e che oggi prende i nomi di Via Giovanni Falcone, Via Vittorio Emanuele, Via Sommariva e Via Mons. Siino per proseguire, dal bivio per Torretta - Km. 19 - come SS 113 verso le città più importanti della Sicilia Occidentale: Trapani e Marsala. 

         Il centro abitato si sviluppa lungo quell'asse stradale molto antico, di epoca romana e già "regia trazzera", in forma stretta e assai allungata su un piano dolcemente inclinato tra i contrafforti del monte Raffo Rosso e le propagini occidentali della Costa Mastrangelo, una parete rocciosa verticale alta 450 metri.

       Le acque azzurre del Mar Tirreno ne segnano i confini ad ovest. 

       Stretto tra Isola delle Femmine a nord, Carini e Torretta ad est, il territorio si estende su una superficie di 612 Kmq e degrada da un'altitudine di metri 70 circa fino al mare nel breve spazio di appena 1,5 km, in linea d'aria.

       Visto dall'alto esso si presenta di forma grosso modo inscrivibile in un triangolo con il vertice rivolto a sud-est, verso l'interno montuoso, e la base posta ad ovest, affacciata sul Mar Tirreno, così come lo sviluppo urbanistico che ne ha seguito la conformazione fin dai primi insediamenti stanziali.

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       Dal massiccio roccioso di Costa Mastrangelo, che continua verso sud perdendosi nel breve altipiano di Contrada Soprabanco, si dipartono, poi, in senso est-ovest, ad una quota vicina ai 100 metri, due corrugamenti minori: la breve montagnola di Santa Rosalia e la più lunga costa rocciosa di Pizzo Muletta che formano una conca nel cui interno si sviluppa la parte pianeggiante.

       I due versanti sono ricchi di cavità e di grotte create dall'erosione marina e presentano ripide scarpate e scoscendimenti di rocce di natura calcarea, fratturate ed in parte carsificate, che si alternano con banchi disposti a strati paralleli, a testimonianza delle diverse altezze raggiunte dalla linea di costa nel corso dei millenni.

       La zona pianeggiante, che si distende in lieve pendio fino a comprendere le Contrade Carrubella e Sommariva, è caratterizzata da uno strato di terreno argilloso poco spesso (al massimo un metro) che poggia direttamente sulla roccia o su strati di ghiaia marina ricchi di conchiglie. Tale particolare sedimentazione sta a dimostrare chiaramente che il mare si spingeva oltre Costa Mastrangelo e che questa, così come gli altri rilievi che fanno da corona a tutta la costa settentrionale del Golfo di Carini, costituivano le primordiali scogliere dell'Era Quaternaria, periodo geologico nel quale ebbe inizio il popolamento faunistico ed umano del territorio.

       E' interessante notare come la piattaforma continentale di questo settore, la cui ampiezza varia dai 4 ai 7 Km, abbia beneficiato solo di una relativa estensione, nonostante sia stata sottoposta nel corso dei millenni ad intensi e rapidi mutamenti di natura tettonica e sedimentaria. Il che testimonia, tra l'altro, lo scarso apporto di depositi alluvionali di importanti corsi d'acqua e la presenza di terreni poco erodibili nell'immediato entroterra.

       Nella foto a lato,"Capaci di notte", l'intera area si presenta come una grande conca che si restringe ai margini estremi in prossimità delle città di Capaci e di Isola delle Femmine ed ai piedi della lunga appendice montuosa che va sotto il nome di Montagna Longa e che penetra in profondità, invece, in corrispondenza della parte centrale della Piana di Carini. In essa appare evidente l'intensa azione di escavazione e di modellatura esercitata sull'ambiente dalle forze primigenie della natura in tempi diversi e relativamente recenti.

       In origine, infatti, la scogliera era costituita da un fronte compatto di terrazzamenti rocciosi quasi a picco sul mare, simili a falesie, più elevati verso l'interno e caratterizzati da brevi pianure poco spesse, ma più ampie al centro, che enormi tensioni genetiche in combinazione con l’incedere dell’azione erosiva marina hanno radicalmente modificato, spianandoli e segnandoli a diverse altezze con profondi solchi longitudinali o con strati sovrapposti di sedimenti calcarei e scavandovi addentro grotte suggestive di vario colore e bellezza, divenute successivamente dimora dei nostri antenati cacciatori paleolitici e mesolitici.

       Si può dire, dunque, che i ripetuti spostamenti della linea di riva (compresa la conformazione ad arco attuale) e le sue lente variazioni morfologiche sono dovuti soprattutto all'alternanza di lunghi periodi di fluttuazione del livello del mare con conseguenti abbassamenti e riemersioni delle aree costiere seguiti da secolari processi di depositi stratigrafici, attualmente in fase regressiva, e da altrettanti profondi cambiamenti climatici e ambientali.

       Si può affermare, altresì, che la lunga costa rocciosa di Pizzo Muletta così come il solitario Monte Colombrina in territorio di Torretta non sono altro che residui di quella fase di mutamenti geofisici che nel corso delle ere geologiche hanno costretto talvolta la biologia locale a periodici riadattamenti.

       Analisi recenti eseguite su frammenti ossei di pachiderma, rinvenuti numerosi nella prima delle quattro cavità marine che costituiscono Grotta dei Puntali o Armetta, sita alle falde di Monte Pecoraro a circa due chilometri da Carini ed a meno di un chilometro dal mare, hanno confermato tali processi di trasformazione permettendo, così, di dimostrare la presenza nel territorio di elefanti di taglia nana (Falconeri), alti circa 90 centimetri al garrese, nel periodo del Pleistocene medio (circa mezzo milione di anni fa) e quella della specie intermedia (Mnaidrensis) fatta risalire ad appena duecentomila anni prima, entrambe derivanti dal già noto progenitore (Elephas Antiquus) di taglia normale.

       Il fenomeno, tra l'altro, era comune a gran parte della fascia costiera occidentale dell'Isola ove i grandi mammiferi, come l'elefante, hanno dovuto adattarsi ad un habitat sempre più vario a causa dei continui mutamenti geodinamici.

       Si aggiunga, infine, il ritrovamento di un osso di teropode, rettile gigantesco vissuto circa 90 milioni di anni fa, la cui scoperta del tutto casuale ha ridimensionato le tesi sull´evoluzione geologica dell'Isola, risultando di per sé sufficiente, nel contesto della fauna fossile siciliana, a suffragare l´ipotesi di contiguità con il continente africano ed a prospettare conseguentemente la necessità di riscriverne la storia. Essa ha, infatti, sconvolto uno dei dogmi incontrovertibili della geologia isolana in base al quale si riteneva che a quell'epoca le rocce della Sicilia costituissero una sezione di fondale marino posta al largo del continente africano. La nuova ipotesi confermerebbe, in contrapposizione, che la regione non solo sarebbe stata in gran parte una terra emersa ma avrebbe occupato già allora una posizione diversa da quella attuale, formando una sorta di ponte tra Africa ed Europa, o addirittura che essa stessa fosse inizialmente una penisola attaccata a quel continente. La presenza di queste terre emerse nel secondo Giurassico ci porta ad ipotizzare per i dinosauri italiani una sorta di “passaggio a nord-ovest” in corrispondenza della Tunisia. E' plausibile, quindi, che, mentre nel Giurassico inferiore (periodo compreso tra i 199 ed i 175 milioni di anni fa) tali dinosauri sarebbero arrivati dall’Eurasia, nel Cretaceo inferiore (in età compresa tra i 145 ed i 99 milioni di anni fa) la situazione si sarebbe invertita, evidenziando una condizione molto diversa da quella rappresentata dai geologi fino agli anni ’90. Perciò le vivaci discussioni che si sono accese al riguardo in seno alla comunità scientifica potranno trovare risposte sicure solo con la prosecuzione delle ricerche e le operazioni di estrazione e recupero del reperto; una campagna di scavi difficile e costosa che richiede certamente la collaborazione di istituti scientifici con competenze altamente specifiche e l'ausilio economico anche di privati. (Per maggiori dettagli si rinvia al capitolo: "Archeologia").

       Bisogna andare molto indietro nel tempo per immaginare questo lembo del Mediterraneo com´era 90 milioni di anni fa, durante il periodo del Cenomaniano (primo stadio del Cretacico superiore), quando tutta la zona costiera di Capaci era più simile ad un´antichissima laguna, come quella delle odierne scogliere coralline, piuttosto che a un tratto di costa aperto verso una distesa d'acqua, grande e pescosa, come il Mare nostrum. 

       E' certo comunque che tutta la zona ha cominciato a presentare condizioni ideali per il suo popolamento umano già al termine della glaciazione, in coincidenza con l'aumento delle precipitazioni atmosferiche e l'innalzamento delle temperature, nel periodo, cioè, che nella scala dei tempi geologici va sotto il nome di "Olocene" o postglaciale, comprendente gli ultimi 10.000 anni della storia terrestre.

       Dal punto di vista idrografico il territorio non presenta corsi d'acqua di rilievo ad eccezione del torrente Ciachea che, percorrendo Contrada Luogo Grande tra due alte coste rocciose, fissa il limite del confine orientale. La riva destra del fiume, segnata dal versante orientale del Pizzo Muletta, appartiene a Capaci mentre la riva sinistra è in territorio di Torretta. 

       Il torrente sbocca a mare dopo aver percorso le brevi pianure delle Contrade Sommariva e Ciachea, quest'ultima in territorio di Carini, ormai arido.  Eppure, in epoca remota, il fiume conobbe periodi di grande attività quando le sue acque, alimentate da sorgenti confluenti dai più lontani contrafforti e da abbondanti e frequenti piogge, favorite dal clima subtropicale e dalla folta vegetazione della zona, sfociarono in incredibili piene ma più spesso, scorrendo tranquille nel loro letto, resero possibile la comunicazione con l'interno a mezzo di imbarcazioni leggere. La sua navigabilità agevolò lo scambio di merci con le popolazioni locali ma costituì anche una minaccia costante ai loro villaggi per le improvvise scorribande di pirati ed avventurieri che vi  piombavano nottetempo. Proprio per proteggersi da queste continue incursioni gli abitanti della zona trovarono naturale rifugio nelle grotte soprastanti, alte, scoscese e difficilmente accessibili da dove era possibile difendersi da ogni genere di pericolo.

       E' sempre il torrente Ciachea, nella più recente Età del Bronzo, a guidare le linee insediative del territorio. Nei pressi del fiume, infatti, sono state scoperte due necropoli con tombe "a forno" scavate nel pavimento roccioso: la prima, meglio nota alla letteratura archeologica e già in parte esplorata, si trova in Contrada Ciachea in territorio di Carini ma al confine con quello di Capaci; la seconda in Contrada Fondo Pozzo.

       In epoca coloniale, quando fenici, greci, cartaginesi ed arabi cominciarono ad allargare le loro mire espansionistiche sul mediterraneo alla ricerca di nuove terre da coltivare o di nuovi sbocchi commerciali, la foce del torrente Ciachea venne spesso utilizzata come scalo, essendo ampia, ben riparata dai venti e dalle tempeste e favorita dal prosperoso entroterra che offriva tutto il legname necessario per le riparazioni delle imbarcazioni in avaria e abbondanti scorte di acqua potabile e di selvaggina. Ma non di rado la sua felice posizione strategica consentì di condurre incursioni ed operazioni di guerriglia a sorpresa sia verso est che verso ovest, potendo una flotta sbucare all'improvviso dai promontori senza essere avvistata dal nemico che all'ultimo momento.     

       La linea di costa, che in antico era molto più arretrata dell'attuale, è caratterizzata da spiagge sabbiose, un tempo di grande spessore e profondità, interessate attualmente da una continua erosione marina, dopo essere state abbondantemente depredate durante il boom economico e la dissennata espansione urbanistica degli anni '60. 

       E' da tenere presente che allo stesso litorale, tra il 1940 ed il 1945, per il consolidamento delle linee di difesa belliche era toccato subire un primo grave saccheggio: la sabbia, infatti, spalata e insaccata, venne trasportata con grossi automezzi militari là ove richiesta per le opere di fortificazioni a difesa di posizioni strategiche o di edifici pubblici e religiosi di primaria importanza.